GEORGESCU

Cari cittadini del Bene,
ci troviamo oggi davanti a un evento di rara gravità, una ferita aperta nel cuore già traballante della nostra fragile civiltà europea. La Romania, patria di Dracula ma anche dell’aspirazione alla democrazia liberale in salsa euroatlantica, ha compiuto un balzo all’indietro che neppure un DeLorean guidato da Mussolini avrebbe potuto immaginare.

Il protagonista? Un certo Călin Georgescu, già noto per le sue nostalgie da regime e le sue uscite degne del manuale del perfetto sovranista balcanico. 

Condannato? No. Riabilitato. Avete capito bene: un tribunale romeno ha ribaltato la precedente sentenza, riconsegnando dignità politica e forse anche un paio di bandiere con l’aquila nera a un uomo che pare uscito da un casting fallito di “La caduta” (per la gioia dei nostri eversori di Byebyeunclesam)

Ma non temete: il Ministero della Verità è qui, come sempre, per proteggervi dalla tentazione di pensare. Perché pensare è pericoloso. Pensare porta al dubbio. E il dubbio... non è antifascista.
Perciò, per chiarirvi bene da che parte dovete indignarvi, abbiamo chiesto all’eccelso Lorenzo Tosa di stendere un articolo che rappresenti l’agonia dell’intellighenzia atlantista europea di fronte a questo nuovo scempio. Preparate i fazzoletti, l'Agnese della democrazia sta piangendo.

Il buio oltre la Dacia: cronaca di un fascismo che non vuole morire
di Lorenzo Tosa (ma non ditelo a sua madre)

C’è un momento, in Europa, in cui non si può più tacere.

Un istante preciso in cui il cuore si spezza come un vetro sottile sotto il peso della storia che ritorna.
Quel momento è ora. Quel luogo è la Romania.

E il suo nome è Călin Georgescu.

Sì, lo so. È solo un nome, solo una sentenza. Solo un tribunale di Ploiești che ha deciso – con la leggerezza di chi dimentica Auschwitz – di ribaltare la volontà giuridica della Corte Costituzionale.

Ma dietro quella sentenza c’è molto di più: c’è il battito cupo di un fascismo che si traveste da democrazia, che striscia nei corridoi della giurisprudenza, che sussurra dolcemente nelle orecchie anestetizzate dell’elettorato.

Non è solo Romania. È un grido d’allarme per l’intera Europa.

È la conferma che la democrazia, oggi, è come un canarino nella miniera dell’est Europa: soffoca piano, e nessuno lo sente.

E intanto, lui. Georgescu. Con quella barba da santone post-sovietico e la retorica che sa di stantio, di stivali e parate, di odio confezionato in PowerPoint.

Un uomo che parla alla pancia del paese e ne risveglia l’intestino tenue, mentre noi – noi! – ci ostiniamo a credere che la civiltà sia irreversibile.

E dov’è l’Europa?
Dov’è Ursula? Dov’è Rutte?
Dove sono i nostri paladini della libertà quando un fascista in guanti bianchi viene riabilitato da un tribunale di provincia?

E mentre accade tutto questo, Musk twitta, Trump si scaccola, e Giorgia Meloni – la nostra premier – tace.
Un silenzio che pesa più di mille proclami.

Perché il fascismo non ha solo la forma di una camicia nera: può nascondersi anche nei tortellini senza glutine, nelle emoji usate male, nei meme della destra ironica.

E, sì, anche nei formati di pasta corta, ormai non potete dire di non sapere.

Questa non è giustizia. È nostalgia.

È la restaurazione di un passato che non vuole morire, ma che oggi, con l’aiuto delle istituzioni deviate, può addirittura candidarsi a tornare.

Io non ci sto.
Io, con la voce rotta dalla commozione e le dita tremanti, lo scrivo qui:

No pasaran.

Non in Romania. Non in Europa. Non nel mio feed.

Se domani l’Ucraina cade, se la democrazia si arrende, se il fascismo torna – sarà anche colpa nostra.
Di chi ha scelto il silenzio. Di chi ha normalizzato. Di 
chi ha detto "è solo un tribunale, è solo una sentenza".

E invece no.
È l’inizio.
O la fine.

Firmato, con le lacrime agli occhi e la Treccani sotto il braccio,
Lorenzo Tosa
(l’uomo che voleva solo un’Europa gentile)

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