ALTR@ E IL REGNO DI INCLUSILANDIA(Una favola psicopoliziesca narrata da Madre Vladimir Luxuria, Gran Custode del Buonsenso Abolito)
C’era una volta, in un reame fluido e progressista, un* giovan* creatur* di nome Altr@. Nessuno sapeva da dove venisse, di che specie fosse o quale lingua parlasse, ma tuttə sapevano che era meravigliosə, perché lo diceva l’algoritmo dell’Empatia Istituzionale.
Nel Regno di Inclusilandia, il sole non era né maschio né femmina: era una sorgente di luce non oppressiva. La luna, invece, si era autoidentificata come entità liquida e si faceva chiamare Lun con l’asterisco.
Altr@ viveva nel Villaggio delle Mille Etichette, dove ogni giorno si assegnava una nuova identità per non offendere nessuno: lunedì era neutro, martedì panromanticə, mercoledì neurodivergentissimo, e giovedì aveva deciso di essere una pianta da appartamento.
Tuttə erano felici.
O almeno, lo diceva il Ministero del Sentire Bene, che pubblicava sondaggi settimanali a risposta unica: “Quanto sei felice di essere progressistə oggi? - a) Tanto - b) Tantissimo - c) Immensamente.”
Ma un giorno accadde una tragedia.
Giovanni, un vecchio contadino cis-bio-etero-patriarcale, osò dire al mercato:
“Buongiorno, signorina.”
Il tempo si fermò.
Un grido attraversò le valli fluide:
“MICROAGGRESSIONE!”
Arrivò immediatamente la Brigata Antilinguistica Intersezionale in monopattino elettrico, con megafoni eco-friendly e lanciatori di glitter sanzionatorio. Giovanni fu arrestato e condannato a 10 anni di rieducazione in modalità gender sensitivity full immersion.
Nel campo, imparò a parlare con la lingua dei segni degli animali non parlanti, a chiedere il consenso alle zucchine prima di tagliarle, e a usare il pronome glu per rivolgersi alle divinità politeiste postcoloniali.
Intanto, Altr@ ricevette l’onore più grande: essere scelto come Ambasciatorə dell’Identità Fluida Planetaria. Fu sollevatə su un trono fatto di piume e hashtag, e dichiaratə l’unico essere vivente a poter correggere gli altri in tempo reale senza bisogno di consenso.
Tuttə applaudirono.
Anche se non si poteva più battere le mani, perché il suono “applauso” ricordava le foche, e le foche si erano dichiarate offese.
E vissero felici e…
Beh, felici no.
Ma inclusivissimə.
E se uno non ha capito che ogni mattina deve chiedere allə suoə pronipotə come vogliono essere chiamatə oggi, allora è fascista, punto.
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