E poi Fedez andò dai giovani di Forza Italia. E io smisi di credere nei miracoli

di Lorenzo Tosa – pubblicato in esclusiva su “Post-Sentimentale.it”, il primo giornale scritto interamente con le lacrime e corretto dai ghostwriter di Roberto Saviano durante un ritiro spirituale con Saverio Tommasi e la statua parlante di David Sassoli

Ci sono pomeriggi in cui non riesci a schiacciare il tuo pisolino.
Pomeriggi in cui ti svegli in lacrime senza sapere se è per il mondo, per il cuore o per la notifica di un post su Twitter.
Questo è uno di quei pomeriggi.

Ero lì, nella mia cucina fluida e senza olio di palma, mentre preparavo una vellutata di indignazione col bimby e ascoltavo in sottofondo una playlist di Franco126 e citazioni di Elly Schlein lette da Siri.
E poi lo vedo.

Fedez.
Sul palco del Congresso dei Giovani di Forza Italia.
E in quel momento ho capito cosa devono aver provato i partigiani quando hanno saputo dell'armistizio.

Cosa ci fa lì?
Lui, il nostro eroe glitterato.
L’uomo che faceva le dirette Instagram facendo dire cose sconce ai giocattoli dei bambini.
Lui, che aveva dissato Berlusconi in 759320 modi diversi e ci aveva fatto sperare che l’arte potesse ancora dire qualcosa. Che la musica potesse essere antifascista, fluida, transfemminista e con le chitarre campionate.

E adesso lo vedo là.
Circondato da plastica umana.
Con i blazer dei figliocci di Tajani, i mocassini senza calzini e le idee prese in leasing da Vespa.

Cosa ci fa?
Dialoga, dicono.
Dialoga.

Come se si potesse “dialogare” con gente che considera Vladimir Luxuria un costume di carnevale.
Come se si potesse “dialogare” con chi non sa la differenza tra aborto e Aperol Spritz.

E allora io piango.
Ma non una lacrima normale.
Piango come si piange quando chiudi un libro e ti accorgi che era il tuo diario.

Ho provato a difenderlo con gli amici, ma niente.
Uno mi ha detto: «Ma dai, è solo marketing».
E io lì, a fissare il vuoto come Margherita Hack che scopre che la NASA è stata privatizzata da Briatore.

Non è solo marketing.
È la resa.

È come se a un Pride si presentasse Mario Adinolfi sul palco e tutti i presenti si convertissero al cattolicesimo più reazionario in 2 minuti.
È come se Berlinguer resuscitasse e decidesse di fare da testimone di nozze a Daniela Santanchè.
È come se...
Non lo so.
È come se mi svegliassi una mattina e scoprissi che anche Zerocalcare ha fatto pace con Casapound.

E poi, in fondo a questo baratro, la frase: “Se non si parla con chi non la pensa come te, non si cresce.”

No. Mi dispiace.
Non tutto si parla.
Con chi vuole togliere i diritti, si resiste.
Con chi ignora i poveri, si combatte.
Con chi ride dei migranti che affogano, si urla, non si sorride.

Non c’è crescita, c’è solo una resa camuffata da apertura mentale.
Una spolverata di liberalismo da talk show, fatta con la leggerezza di chi può permettersi di “parlare con tutti” perché tanto, a casa, c’ha il rider che gli porta la coscienza già filtrata.

E io resto qui.
Sul mio divano riciclato, con il plaid arcobaleno e il cuore fatto a coriandoli.
A ricordarmi di quando Fedez ci aveva illuso che bastasse una strofa per cambiare il mondo.
E adesso canta… per loro.
Con loro.

Abbiamo perso anche lui.
Come abbiamo perso la sinistra.
Come abbiamo perso il sonno.
Come abbiamo perso la password di Spid quella volta che volevamo firmare la petizione per la cittadinanza di Patrick Zaki.

Mi scuso per il tono.
Non è rabbia.
È solo...
...stanchezza.

E una malinconia che sa di spritz annacquato e playlist “tristi vibes” su Spotify.

Addio, Fedez.
Ti abbiamo voluto bene.
Anche troppo.

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