Lo scioglimento del PKK: una bella notizia che ci fa molto, molto paura

Con viva e vibrante soddisfazione apprendiamo che il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), noto club del libro maoista con passione per le armi automatiche, ha annunciato la sua dissoluzione. Finalmente un altro focolaio di sovversione comunista che si spegne, e noi — da sempre fieri oppositori dell’autodeterminazione dei popoli se non sono quelli giusti — non possiamo che brindare con un tè turco caldo e l’occhio lucido.

Eppure… c’è qualcosa che ci disturba. Una vocina, un lieve prurito ministeriale dietro la nuca. Perché se il PKK si scioglie, chi ne beneficia davvero?

La risposta è inquietante: la Turchia. Sì, quella stessa Turchia che finge di essere un’alleata ma che in realtà trama contro il Santissimo Stato di Israele, faro di democrazia, civiltà, e legittima autodifesa preventiva contro chiunque osi esistere troppo vicino.

Erdoğan, che con la mano destra reprime i comunisti e con la sinistra lancia droni nella Siria liberata (che poi sarebbe la Siria ancora occupata da chi, segretamente, non ci piace), potrebbe ora concentrare tutte le sue energie contro quei teneri soldati della luce che difendono il confine nord di Israele dall’influenza iraniana, hezbollahiana, e adesso — temiamo — anche turca.

E allora come possiamo gioire?

Come possiamo festeggiare per la fine di un’organizzazione che odia l’Occidente, se ciò apre la strada a una maggiore influenza di una nazione che odia Israele quasi quanto il PKK?

Cari cittadini, vi invitiamo alla compostezza. Abbiate fede nel Ministero. Forse ci sono terroristi buoni e terroristi cattivi. Forse esiste un momento in cui i curdi sono eroi (quando combattono Assad), e un altro in cui sono fastidiosi (quando pretendono un Kurdistan).

Nel dubbio, restate a casa. Non fate domande. E soprattutto, ricordate: la guerra è pace, la libertà è schiavitù, la Turchia è ambigua.

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