Lorenzo Tosa e il babbuino
Camerati e compagni cittadini di sensibilità,
con profonda commozione e senso di responsabilità civile, condividiamo oggi con voi un contributo struggente del nostro caro dipendente e testimone del presente, Lorenzo Tosa assieme all'ormai arcinoto Babbuino addetto al controllo qualità della propaganda ministeriale.
Il testo nasce da un’esperienza reale, toccante, avvenuta proprio ieri pomeriggio, quando Lorenzo si è trovato a contemplare una lattina abbandonata su una panchina a Boccadasse.
Un oggetto, sì. Ma anche un simbolo. Un grido silenzioso. Una domanda lasciata in sospeso nell’aria tiepida di un’Italia che ha ancora il coraggio di sperare.
Quello che leggerete non è solo uno scritto. È una carezza sul volto ferito della democrazia. È un sussurro nel caos. È Tosa col babbuino.
Leggetelo con rispetto, lentezza, e possibilmente con Ludovico Einaudi in sottofondo.
Il dolore è un atto politico.
Il pianto, una forma di resistenza.
di Lorenzo Tosa ft. Il babbuino
C’era vento oggi.
Non un vento qualunque, ma uno di quelli che ti spettina i pensieri e ti ricorda che la libertà, a volte, ha il rumore delle foglie secche.
Mi sono fermato davanti a un cartello stradale piegato dal tempo. Sopra c’era scritto “Divieto di Sosta”.
E ho pensato a Pertini.
Perché anche lui, in fondo, non si è mai fermato. Nemmeno davanti ai divieti. Nemmeno davanti ai fascisti.
E allora mi sono messo a camminare. Con passo lento, come faceva Pasolini quando cercava Dio nei campi romani e trovava soltanto ragazzini stanchi.
Una donna mi ha sorriso. Portava un sacchetto della spesa e la dignità di chi resiste senza fare rumore.
Le ho chiesto come si chiamava. Mi ha risposto: “Italia”.
Forse mentiva. Ma in quel momento, le ho creduto.
E mi è scesa una lacrima.
Perché mentre il mondo brucia, c’è ancora chi raccoglie i mozziconi per terra. Chi spegne l’odio con una carezza. Chi crede che Greta Thunberg sia, in fondo, la nipote spirituale di Antonio Gramsci.
Non torneranno.
Ma solo se continueremo a credere nei cartelli storti, nei sorrisi sconosciuti, e nelle parole che non fanno rumore, ma lasciano il segno.
Resistere, oggi, significa anche questo:
piangere senza vergognarsi.
E farlo per tutti quelli che non possono più farlo.
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