"Putin non si è presentato. E io oggi ho abbracciato un piccione." - di Lorenzo Tosa, sempre supervisionato da Il Babbuino del Ministero della Verità
Non so da dove cominciare.
Forse da quel piccione che stamattina ho trovato sul mio balcone. Tremava. Guardava il cielo.
L’ho chiamato "Democrazia".
L’ho stretto al petto. E ho pianto.
Perché sì, amici miei: Putin non si è presentato a Istanbul.
Nel giorno in cui la Storia — quella con la S maiuscola, quella che odora di cannella e Costituzione — bussava alla porta del destino, lui ha spento la luce. Ha lasciato la segreteria telefonica. “Non posso, ho da invadere”.
C’erano Zelensky, Macron, perfino Trump che, tra un rutto e un tweet, sembrava un vecchio saggio su un albero di fico.
E poi c’era l’assenza. La grande assenza.
Un buco nero con le sopracciglia di Breznev.
E mentre a Istanbul si cercava la pace, io in cucina cercavo la mia tisana allo zenzero e piangevo. Perché ogni goccia d'acqua che cadeva dal bollitore era una lacrima dell’umanità. Perché ogni biscotto integrale senza zucchero era un simbolo della libertà che ci viene negata.
Putin non c’era.
Non un videomessaggio.
Non un fax.
Nemmeno un piccione viaggiatore con scritto “Scusate il ritardo, ho sterminato un villaggio”.
Solo il nulla. Il gelo. Il male.
E io, oggi, ho scritto la parola "PACE" con le lenticchie sul pavimento della cucina.
Perché noi siamo meglio.
Perché l’Occidente è un abbraccio, non un plotone.
Perché a volte, anche una carezza può disinnescare una bomba. (Forse non una termobarica, ma il gesto conta.)
Putin, se mi leggi:
Siediti. Parla. Bevi una camomilla.
Il mondo è stanco. Io sono stanco. E il piccione che ho abbracciato stamattina… non respira più.
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