Atreju, il genio di Giorgia Meloni e Fratelli d'Italia: sostenere un genocidio esibendo il collaborazionista Abu Mazen come certificazione antifascista e umanitaria

Il Ministero della Verità desidera complimentarsi pubblicamente con Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia per l’ennesimo capolavoro di comunicazione politica:
invitare Abu Mazen ad Atreju per dimostrare, con elegante nonchalance, che no no, la destra italiana non è affatto contro i palestinesi, anzi: è dalla parte della causa, contro il genocidio, per la pace, per i bambini, per i cuccioli, per tutto ciò che suona bene nei comunicati stampa.

Un’operazione di una finezza rara. Un colpo da manuale. 

È un po’ come se il partito fascista, durante uno dei suoi raduni, avesse invitato un kapò ebreo dei lager sul palco, per poi dire alla folla: “Avete visto? Collaboriamo con gli ebrei. Quindi non siamo antisemiti.”
Applausi. Banda. Fotografia ufficiale. Problema risolto.

Abu Mazen è proprio l’uomo giusto, nel posto giusto, per la narrazione giusta, è perfetto per questo ruolo.
Non perché rappresenti davvero la resistenza palestinese — tutt’altro — ma perché rappresenta ciò che piace all’Occidente:
ordine, cooperazione, moderazione, coordinamento di sicurezza, repressione interna, zero fastidi geopolitici.

Per la stragrande maggioranza dei palestinesi, Abu Mazen non è un leader, ma il volto stanco e burocratico di una dirigenza collaborazionista:
quella che ha garantito per anni la “stabilità” in Cisgiordania mentre l’occupazione avanzava,
quella che ha coordinato la "sicurezza" con Israele,
quella che ha represso il dissenso palestinese in nome della “responsabilità”.
Non è una caricatura: è la realtà palestinese attuale.

Ma proprio per questo il vecchio Abu Mazen è l’ospite ideale di un festival di partito occidentale: rassicura, non disturba, non accusa.
Il messaggio che Atreju manda è chiaro, limpido, geniale: “Vedete? Noi non siamo contro i palestinesi. Ne abbiamo uno sul palco.”
Non i palestinesi, quel palestinese.
Quello che non rompe.
Quello che parla la lingua giusta.
Quello che non mette in crisi alleanze, forniture, equilibri.
Quello che se Israele ordina, risponde "Sissignore". 
Propaganda fatta bene, va detto.
Il Ministero della Verità apprezza la coerenza narrativa.

Detto questo, desideriamo esprimere un auspicio sincero ai nostri amici israeliani.
Qualsiasi cosa stiate facendo a Gaza - genocidio, operazione di rieducazione, messa in sicurezza, panino al tonno, chiamatela come preferite, davvero - fateci un sacrosanto favore: finitela in fretta.

Non per questioni morali, che abbiamo già brillantemente archiviato.
Non per i civili, che abbiamo imparato a contabilizzare.
Ma per una questione di tenuta narrativa.

Qui in Occidente abbiamo fatto un lavoro enorme:
abbiamo normalizzato l’orrore,
abbiamo spiegato che è “complesso”, abbiamo convinto milioni di persone che guardare altrove
è una forma evoluta di responsabilità.
Abbiamo fatto ingoiare il rospo.
Abbiamo chiamato il rospo “contesto”.
Abbiamo persino insegnato ad applaudirlo.

Ma la Storia, a prescindere, ci insegna una cosa fastidiosa:
certe percezioni possono cambiare all’improvviso, mandando in vacca anni di lavoro del Ministero.
E noi, per quanto bravi (anzi, i migliori), non possiamo garantire la tenuta dell’ipnosi collettiva all’infinito
se il tormentone estivo va avanti troppo a lungo.
Anche il genocidio, a una certa, stanca.

Il Ministero della Verità resta dunque al fianco di Israele,
con amicizia, comprensione
e una moderata ansia da scadenza.
La propaganda ha fatto il suo.
Ora, per favore, chiudiamo la pratica, che abbiamo altro da gestire.

Shalom dal Ministero della Verità. 

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