PASSAGGIO AL BOSCO: QUANDO L'ANTIFASCISMO DA SALOTTO FA COSÌ TANTO RIBREZZO CHE FAREBBE SALIRE LA VOGLIA DI INDOSSARE LA CAMICIA NERA PERSINO A PERTINI
È sempre emozionante assistere all’eterna lotta tra i cosplayer fascisti e gli antifascisti da spritz. Un po’ come guardare due tifosi che si prendono a bottigliate per stabilire chi dei due ha tradito meglio i valori della Repubblica. E anche stavolta, grazie a “Passaggio al bosco” e all’indignazione prêt-à-porter che ne è seguita, lo spettacolo è stato degno della prima serata.
Qualcuno non vuole partecipare alla fiera perché – orrore! – ci sarebbero dei nazi-fascisti.
E allora vai coi solenni proclami:“Non possiamo far passare il messaggio che le idee naziste valgano quanto le altre! Bisogna mettere i paletti!”
Paletti?
Certo.
Peccato che ormai la popolazione, se potesse, quei paletti li userebbe per legarvici stretti stretti e farvi esibire, one night only, nel cosplay degli arrosticini abruzzesi su una bella pira in pubblica piazza.
Perché c’è un dettaglio minuscolo che i paladini della democrazia si ostinano a non voler vedere: la gente non si sta riavvicinando ai fascismi perché improvvisamente gli piacciono le camicie nere, ma perché QUESTA democrazia fa oggettivamente schifo, come un frigorifero pieno di cibo staccato da tre mesi; anche lo scemo del villaggio ha capito che il famoso “potere popolare” ormai vale meno di un gettone del carrello. Chiunque tu voti, finisce a eseguire i desideri di qualche nostro comitato d’affari, che decide altrove le sorti del Paese - in un’altra lingua e in un altro fuso orario - e se ne sbatterà allegramente il cazzo se non arriverai a fine mese, se dovrai rinunciare a curarti per mangiare o per mandare a scuola i tuoi figli, se morirai da solo e nessuno se ne accorgerà se non dopo mesi e qualche strano odore di decomposizione proveniente dal tuo buco di appartamento in periferia.
E noi, come Ministero, non possiamo che esserne entusiasti.
Perché se c’è una cosa che amiamo, è il popolo esasperato che sceglie di abbandonarsi ai sintomi invece di aggredire le cause.
È un modello di governance molto efficiente, la nostra forma preferita di stabilità.
Ma la parte più tenera di tutta questa vicenda sono proprio loro: gli antifascisti che piagnucolano per “Passaggio al bosco” mentre contemporaneamente sostengono senza battere ciglio, più o meno consapevolmente, i nazisti veri, quelli ucraini.
Quelli sì che sono fascisti di qualità, certificati NATO, col bollino blu della libertà.
E non finisce qui.
Gli stessi professionisti dell’antifascismo morale, quelli che da decenni si scaldano il cuore urlando “mai più!”, sono gli stessi che hanno zittito Barbero, D’Orsi e Travaglio a Torino.
Perché?
Perché in fondo, diciamolo:
a loro la censura piace un sacco. Basta chiamarla con un altro nome.
E indovina un po’?
Nel reprimere ciò che li disturba, assomigliano terribilmente a quelli che pretendono di combattere.
È il cerchio che si chiude, il serpente che si morde la coda, la storia che rima in modo tragicomico.
Perché la libertà d’espressione va difesa, purché nessuno la usi davvero.
E noi?
Noi ci godiamo lo spettacolo.
La democrazia crolla perché chi la difende è incapace, presuntuoso e allergico al confronto.
La gente scappa verso le alternative peggiori perché è stata abbandonata.
Gli antifascisti applaudono i veri fascisti lontani mentre cercano di censurare intellettuali e professori dissidenti in casa propria, come da nostre puntuali direttive.
I fascisti di tutto il mondo ringraziano, noi del Ministero stappiamo lo champagne e, come sempre, applaudiamo il caos.
Perché ogni volta che la democrazia inciampa sulle sue stesse incoerenze e fa un altro passo verso la sepoltura, da noi scatta la festa aziendale.
Ogni censura, ogni figuraccia, ogni indignazione mal calibrata è un giorno di ferie guadagnato da un nostro funzionario.
E sulla tomba fresca della democrazia, presto potremo finalmente posare la nostra lapide d’ordinanza: Qui giace un sistema morto non per colpa dei suoi nemici, ma dei suoi stessi sacerdoti.
Firmato: le scimmie dattilografe del Ministero della Verità
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